martedì 22 dicembre 2015

Cinque chilometri di passione - Il racconto della mia Firenze Marathon 2015

Prima di affrontare la Firenze Marathon, avevo vissuto vigilie pre-gara - per così dire - piuttosto agitate. La maratona, con tutta la preparazione che richiede, è una cliente esigente. Stefano Baldini disse che "alla maratona si dà del lei". Non si scherza con i 42,195 chilometri ed è questa sorta di timore reverenziale che mi ha sempre fatto vivere una vigilia con una bella dose di tensione, a volte sana, ma talvolta anche fatta di nervosismo. Sabato sera, più che in ogni altra occasione, avrei avuto più di un buon motivo per mettermi a letto con molta agitazione addosso. Nelle ultime due settimane ho convissuto con l'incognita-soleo, improvvisamente dolorante durante l'ultimo lungo (vedi post).

Il sorriso nel sapere tutta questa fatica sarà finita

Un'incognita importante, di quelle che non possono far dormire sonni tranquilli ad un maratoneta.
Invece, la serata di sabato è volata via in grande relax. Passeggiata nel centro storico di Firenze, un regalo per Giulia in una di quelle librerie raffazzonate e piene di volumi polverosi, il classico mezzo chilo di pasta pomodoro e basilico, un po' di televisione finalmente in lingua italica e una novità assoluta: il kinesiotaping fai da te. Dopo l'arnica, il ghiaccio e pomate varie, il cerotto magico è l'asso nella manica che mi ero riservato per la sera prima della maratona. "Bravo Stefano, hai scoperto l'acqua calda", qualcuno potrebbe pensare. Certo, peccato che quei cerotti me li debba mettere da solo. E non si tratta di metterli su una coscia, una zona di facile accesso, ma su un polpaccio. E metterli male potrebbe anche voler dire compromettere la gara. Mi studio i video di applicazioni e autoapplicazioni kinesio fino allo sfinimento. E poi procedo. Studio per benino il posizionamento del cerotto, la cosa più difficile. Strappo la carta, presto attenzione a non toccare la colla e inizio ad stenderlo sul polpaccio, con il polpaccio in tensione: basta estendere le dita dei piedi. Viene fuori un buon lavoro, al punto che mi faccio coraggio e mi incerotto anche il diaframma, un muscolo che non è mai molto rilassato. Operazione ancora più complicata, perché va effettuata a polmoni pieni, o a torace espanso affinché abbia successo. Anche qui mi pare di aver raggiunto un discreto risultato. Posso andare a dormire tranquillamente.

Il lungo fiume di maratoneti

La mattina inizia col solito rituale. Colazione, un bel po' di tempo in bagno, incerottamenti antivesciche, incerottamento nasale, vaselina, arnica, lavoro di spille per fissare il pettorale e vestizione. Poi si parte in direzione Lungarno Pecori Giraldi. Fuori è un po' nuvoloso, ok, ma soprattutto fa piuttosto freddo. Dalla mia bocca esce vapore acqueo a volontà. La macchina della maratona è in gran fermento, molti atleti si stanno già scaldando con intensità. Io invece, ancora con la testa a letto, me la prendo comoda. Sono momenti che vanno vissuti con estrema calma. Perché non capitano tutti i giorni, e questa emozione, così unica e complessa da descrivere, è cosa che mi succede una/due volte all'anno. Si ripete e si rinnova, sempre uguale e sempre diversa contemporaneamente.
Sono le 8.30 circa quando scrivo a Giulia per darle il mio messaggio di "arrivederci" al termine della maratona. È un momento importante, perché saluto colei che più di ogni altra persona sa e conosce i sacrifici che ho fatto. E perché è la donna che amo, punto. "Sarai vicina al mio cuore" non è una frase di rito ma la realtà. Per la Firenze Marathon ho voluto fare un po' di esibizionismo supplementare. Due cerottini classici dalla funzione totalmente nulla: uno è in segno di solidarietà con le vittime dell'attentato terroristico di Parigi, l'altro è per Giulia - rigorosamente sul braccio sinistro, dove più pulsa forte il motore che vorrei mi portasse al traguardo di Piazza Santa Croce.

Faccia perplessa davanti a Palazzo Pitti

Esco dal tendone, come molti altri, coperto da una mantellina appositamente fornita dall'organizzazione. Fa freddo. Su un prato lungo l'Arno svuoto per l'ultima volta la vescica e mi dedico a riscaldamento e stretching. Le sensazioni sono buone. Zero fastidi e tanta tanta voglia di correre, di dare gas alle gambe. Entro nella gabbia, cerco di guadagnare qualche posizione, poi mi fermo e attendo che giungano le 9.15. Lì si concentrano tre mesi di allenamenti, sudore, chilometri, giornate vissute in funzione della corsa, magliette dagli odori più terrificanti, discussioni, dolori muscolari. E nonostante ciò, un maratoneta vive per essere lì, nella gabbia di partenza, per poter godere di quei minuti in attesa dello sparo. Minuti che sembrano infiniti quando ci si schiera, minuti che scorrono troppo celermente quando l'ora del via. Impressionante poi, il minuto di raccoglimento per le vittime del terrorismo. Non c'era alcuna vibrazione in grado di scalfire quel muro di silenzio.
Arrivano le 9.15. Guardo ancora in alto per qualche secondo, un'ultimo sospiro prima della corsa, quindi si parte verso il settimo traguardo sulla distanza della maratona.

Il via alla Firenze Marathon 2015

I primi chilometri scorrono molto veloci. Forse anche fin troppo veloci. Le gambe si muovono bene, non ho alcun segnale di fastidio, mi sento in grande forma. Sono le prime falcate, quelle in cui ogni maratoneta si sente di poter spaccare il mondo. Eppure sono i più difficili, perché bisogna sapersi controllare. Ultimamente riesco a farlo meglio che in tempi passati, ma quando mi ritrovo davanti il muro di atleti che rimangono appiccicati ai palloncini delle 3h15' (che si muovono anche troppo velocemente), decido di non badare troppo a secondi in più o in meno. Quel muro non mi piace, mi dà fastidio, lo devo superare. Che non vuol dire, molto semplicemente, mettere la freccia e sorpassare. Ci va più tempo, necessito di un paio di chilometri corsi tra 4'17"/km e 4'23"/km, un passo decisamente veloce. Questi sono i chilometri caratterizzati dai grandi corsi esterni di Firenze, viali nei quali il popolo della maratona può "disperdersi" perfettamente.

Primo, emozionante, passaggio in Piazza del Duomo

Poco dopo i sei chilometri di corsa inizia un settore importante di gara, un settore lungo poco più di otto chilometri, nel quale si scrive una fetta importante della propria performance. Sono gli otto chilometri del Parco delle Cascine. Importante è non strafare, non seguire l'istinto che ti direbbe di andare a superare uno dopo l'altro chi ti precede. So che che nei primi chilometri sono andato forte - forse anche fin troppo forte - ed è quindi il caso di rallentare un attimo. Entro nel parco ad un passo che mi permetterebbe di chiudere in 3h07', un sogno, ma non realistico; ne esco con un passo da 3h09', un'altra musica. Veramente, non è facile tenere a bada le gambe e sforzarsi di correre cercando di non superare i 4'30"/km. Il parco è un tratto di maratona che all'apparenza può essere divertente ma in realtà è assai noioso, il panorama è monotono e si aspetta sempre di poterne uscire. Quando, finalmente, arriva quel momento, inizia tutta un'altra corsa.

Un treno di runner pronto a superare il sottopassaggio (© Andy Shtilla/Germogli)

Dopo la svolta a destra, verso il sottopassaggio di Piazzale Vittorio Veneto, si affronta il primo ponte sull'Arno e si imbocca un lungo tratto di Lungarno. Continuo a correre molto bene, in quanto il tempo che impiego a percorrere un chilometro oscilla sempre intorno ad una media di 4'30". Continuando su questa scia, si potrebbe pensare veramente di chiudere in 3h10'. Ma non mi illudo, la maratona è un cliente complicato e ciò che si sogna al quindicesimo chilometro è spesso una chimera. Metro dopo metro, tutto può cambiare. Ad esempio, può cambiare il terreno di corsa. Dopo il Lungarno c'è un curvone a destra per prendere Via dei Serragli; qui comincia un tratto di asfalto in pessime condizioni, che dura per qualche centinaio di metri, e si sente già una differenza nella scioltezza di corsa. Non basta la folla assiepata in quel tratto di percorso ad alleggerire la sensazione di fatica che sovviene in quei momenti, dovuta ad un terreno più difficile e anche alla leggerissima salita verso Porta Romana. Salita che, comunque, è fortunatamente seguita dalla discesa verso Palazzo Pitti (tra l'altro, ma quanto è grande?) e verso Ponte Vecchio.

Tutta la sofferenza in Lungarno Vespucci

Il tempo per affrontare Ponte Vecchio è però ancora immaturo, sono trascorsi poco più di diciannove chilometri e lì non sono ancora passati neanche i campioni della disciplina. No, c'è ancora molta strada da lasciarsi alle spalle prima di ritornare a Ponte Vecchio. C'è ad esempio un altro lungo tratto di Lungarno, che porta al Ponte San Niccolò, sul quale ricade in pratica la mezza maratona. In quell'istante il mio ritmo di corsa è ancora ottimo e sotto il passaggio ai 21,097 km è ancora incoraggiante: se ripetessi una seconda metà di corsa come la prima potrei terminare veramente in 3h10'. Continuo a dire fra me e me che non è possibile, che sto andando troppo forte, che dovrei salvare un po' la gamba e tutta una serie di cose così. Eppure sto bene, mi sento di poter mantenere quel passo. Tutto ciò fino al chilometro numero 24.

I top runner nei loro primi chilometri di corsa

Siamo in via Aretina, la maratona ha già superato i confini più orientali del percorso; la strada sembra presentare anche una leggera salita. Inizio a sentire le prime avvisaglie di stanchezza, non un dolore specifico, nulla di terribile, ma è un segnale. Qui si cambia registro, la corsa non sarà la stessa. Si potrebbe dire che è una mini-crisi, che dura circa due chilometri, in cui inizio a segnare tempi rispettabilissimi (4'32"/km è ancora un ottimo passo), ma l'impressione è che debba forzare l'andatura per restare in linea con il passo medio. Tutto sembra svanire come d'incanto quanto si entra nel tratto che conduce i maratoneti a correre nella zona degli stadi. Penso "almeno io sì che potrò fare il giro dello stadio Artemio Franchi", non come quell'invasato dell'ex giocatore della Juventus Amauri (che sognava di fare il giro dello stadio se avesse segnato un goal alla Juventus indossando la maglia della Fiorentina). Non so se è questo pensiero che mi distrae per un attimo dalla corsa, ma la realtà è che mi sento meglio ora, che le gambe sembrano ritornate a fare il loro dovere. Ok, non proprio come dopo quattro chilometri di gara, ma le sensazioni sono migliori. Sono più tranquillo, anche pensando ai miei tribolati finali di gara.

Gruppo ancora compatto, prima di entrare nel Parco delle Cascine

Ma la maratona è lunga. Non ci si può rilassare con la mente. Neanche un attimo, a meno che il traguardo sia già stato superato. Non è finita finché non è finita, punto. Perché gli imprevisti, o le sorprese, sono sempre dietro l'angolo. O al chilometro 30: famosa tra i maratoneti è la "crisi del trentesimo chilometro". Un atleta davanti a me borbotta "sempre 'sti cazzo di maledetti ultimi dodici chilometri". Quasi a volerlo fare apposta, in un momento in cui la strada tende impercettibilmente a salire, lì mi coglie la seconda mini-crisi della mia corsa. Nulla di folle, non un crollo improvviso, ma la coscienza che quel ritmo a lungo non si può ancora tenere per molto. Rimango tranquillo perché so che ho corso talmente forte prima che anche con un deciso rallentamento posso comunque chiudere con un ottimo tempo finale. Nonostante ci si metta di mezzo un cavalcavia folle. È il cavalcavia dell'Affrico, un enorme ponte sulla linea ferroviaria che in breve arriva a Campo di Marte. Le pendenze di questa salita sono a prima vista spaventose: 15% forse? Si vede che è un cavalcavia tosto, di quelli che non conviene affrontare con rabbia. Meglio intraprenderlo con calma, senza esagerare e poi pagare qualche centinaio di metri dopo. I chilometri 31 e 32 vengono corsi a 4'39"/km e 4'38"/km, frutto di un piccolo cedimento e di una cavalcavia massacrante. Poi la discesa... da questo momento mi aspetta una curva a destra e poi il lungo viaggio verso il centro di Firenze. La fine si avvicina, la parte più emozionante della maratona si avvicina!

Fatica, gioia... cosa?

Il cuore di Firenze è sempre più a portata "di gamba", non vedo l'ora di arrivarvi. Di chilometri ne ho già corsi parecchi, e le gambe iniziano a cementificarsi, come se le fibre muscolari iniziassero a tessere una trama in grado di bloccarne ogni movimento. Ma ci sono ancora energie per correre veloci. Nei successivi quattro chilometri mantengo ancora un bellissimo ritmo: 4'35", 4'34", 4'30", 4'27"/km. Per essere tra il chilometro 33 e il chilometro 36, niente da dire, anzi, sono tempi strabilianti. Seppur a corto di energia, riesco a trarre il meglio da alcune situazioni, come nei sorpassi nei pressi di Piazza della Santissima Annunziata, a scapito di alcuni podisti chiaramente piemontesi (le canottiere delle squadre torinesi me le ricordo ancora bene), o dal tifo indemoniato al quale assisto in Via dei Martelli, preludio all'improvvisa comparsa davanti al mio sguardo, di Santa Maria del Fiore e del Battistero. Un momento di puro godimento, tanta gente ad acclamare e a sostenerti nel momento in cui la forza inizia a venire meno. La spinta del pubblico a volte può fare i miracoli.

Il trampoliere all'uscita di Ponte Vecchio (© New Press Photo)

Superata Piazza San Giovanni si imbocca Via Roma per poi svoltare a destra in Piazza della Repubblica, una delle più belle di Firenze, anch'essa gremita di tifosi. Il passaggio sotto l'arco che delimita il lato occidentale della piazza è da brividi, per il calore del pubblico. E per il freddo che l'ombra trasmette sulla pelle sudata. A partire da Piazza della Repubblica il tifo inizia a scemare, in quanto si sta abbandonando il cuore del centro storico di Firenze. Le strade si fanno strette, ombrose, questa è la Firenze più vecchia. Sento ancora sensazioni positive, nonostante la stanchezza stia già bussando alla porta. Vedo che il cronometro inizia a segnare tempi più elevati ma non mi preoccupo più di tanto, quando raggiungi il chilometro 37 è anche normale, no? Non si può rimanere freschi come una rosa lungo l'intero percorso. Poi, accade ciò che non ti aspetti.

Il canale nel Parco delle Cascine (© Andy Shtilla/Germogli)

Ho da poco superato il chilometro 37, mi trovo in un'ampia strada non lontana da Santa Maria Novella, Via Il Prato. Vedo che il passo si è alzato improvvisamente. Eppure... a me non sembra di aver rallentato. C'è una doppia curva a sinistra, per prendere Via Montebello. In quell'istante, tac, si spegne la luce. Le gambe non ne vogliono più sapere, si bloccano improvvisamente. Non so cosa può essere successo, ho sempre pagato i finali di gara in qualche modo, ma un crollo così repentino non l'avevo mai vissuto. E mancano poco meno di cinque chilometri. La strada è ancora lunga e ora inizia ad affiorare un po' di paura, la paura di non poter chiudere sotto le 3h15', l'obiettivo inseguito da tanto tempo, nonostante io sia arrivato al chilometro 37 con tutte le carte in regola per provare a chiudere ben tre minuti più veloce. Bisogna arrivare alla fine, sulle gambe in pratica non posso più fare affidamento ora, questo è il momento che sia la testa a portarmi all'arrivo di Piazza Santa Croce.

Stringevo i denti, eccome se li stringevo...

Le strade che portano a Piazza Santa Croce le ricordo alla perfezione. Quando inizio il Lungarno Vespucci credo che il più sia fatto, la strada riporta in centro. Ma di chilometri ne mancano ancora quattro e mi sembra di non trarre giovamento alcuno dagli incitamenti del pubblico. Sono veramente alla frutta, vedo tanti che mi sorpassano, ora. C'è un ponte, Ponte Santa Trinità. Attacca in salita, senza sconto alcuno. Pochi metri, ma sono una coltellata alle mie cosce. Ci si rimette per poche centinaia di metri sulla sponda destra dell'Arno e si entra in Borgo San Jacopo. Lì la stanchezza e la fatica si trasformano in paura. A causa dello sbalzo termico tra un tratto soleggiato ed un tratto ombreggiato (in Borgo San Jacopo la strada è stretta e i palazzi alti), suppongo, la vista mi si annebbia improvvisamente e mi sembra di poter stramazzare al suolo da un momento all'altro. Una sensazione bruttissima, mai provata prima durante una gara. Chiudo gli occhi un attimo, poi li riapro e guardo il cerotto sul braccio sinistro. Non si deve mollare. Nonostante tutto, c'è ancora la lucidità per arrivare in fondo. Ma ora è proprio il turno di Ponte Vecchio. Mamma mia, Ponte Vecchio. La salita di Ponte Vecchio squarcia in due le gambe. Mentalmente, madonne e santi vengono tirati giù dai loro scranni tra le nuvole. Sono pochi metri, ma sembrano decine, centinaia, migliaia. Quel lastricato è tremendo, durissimo. Sono i piedi che vi appoggiano sopra o sono le caviglie? Ciò che sento è una percezione di affanno incalcolabile. Vado così piano che le persone sul percorso hanno il tempo di leggere il mio nome sul pettorale e provare ad incitarmi.

Via delle Cascine

Non so bene per quale magia riesco a ritrovare un barlume di energia poco dopo aver superato Ponte Vecchio. C'è un po' di discesa e soprattutto ci sono i due passaggi più emozionanti. Prima c'è Piazza della Signoria, una di quelle piazze che attraversate durante una maratona spiegano alla perfezione il perché del tanto sacrificio di mesi per arrivare fin lì. Sono ovviamente brividi di grande gioia, quando svolto a destra e di fronte a me appare, grandioso in tutta la sua mole, Palazzo Vecchio. Poi Via dei Calzaiuoli. Altro calvario, prima di ritrovare lo slancio in Piazza del Duomo. Si passa tra Santa Maria del Fiore e il Battistero di San Giovanni, tra due ali di folla. Nonostante la fatica, nonostante l'acido lattico, nonostante tutto ciò che si può pensare in quei secondi, questi momenti sono l'estasi del maratoneta. Questi luoghi non si possono correre ma noi maratoneti si, li possiamo correre, come i grandi atleti e in mezzo a migliaia di altri atleti. Valicare l'angusto passaggio tra due dei simboli di Firenze è come aver conquistato una montagna... perché dai, ora che sei giunto lì, quanto potrà mancare ancora? Poco? Tutto è relativo: sono pochi o sono tanti due chilometri?

Piccolo al confronto con Palazzo Vecchio

Giro attorno al Duomo, alzo un pochino la testa per distrarmi e trovare energia nel marmo della cattedrale fiorentina, ma di energia proprio non ce n'è più. Cerco di capire quanto può mancare, perché anche la forza di guardare ancora l'orologio è finita. E non voglio vederlo! L'ultima volta che l'ho fatto avevo visto che stavo correndo ad oltre 5'/km. Meglio non farsi scoraggiare dai numeri.
Quando di fronte compare il Museo del Bargello, bisogna svoltare a sinistra, in Via Ghibellina. Sono alloggiato non lontano proprio da questa via e so quanto sia lunghissima questa stretta strada fino alla zona della partenza dalla quale bisogna ripassare. Infatti, è eterna. Quel lungo rettilineo, tutto in lastricato sembra una strada senza una fine vera e propria. Qui scatta l'ora dell'ultimo chilometro di corsa. Un ultimo chilometro da correre a denti stretti, sperando che sia anche breve e facile. Una curva a destra, per ritornare in Viale della Giovine Italia, da dove è partita la corsa poco più di tre ore prima. Lì compare la Torre della Zecca Vecchia, e inizio a realizzare dentro che ormai è fatta. Da lì - apparentemente - non può mancare molto.

Solite bischerate alla fiorentina

Bisogna stringere fortissimo i denti, perché i metri da correre sono ancora solamente più una manciata. Svolta a destra su Lungarno della Zecca Vecchia. Un tifoso ci urla che mancano cinquecento metri, che è finita. Finita un corno. Si scende a destra, davanti alla Biblioteca Centrale di Firenze, poi una curva a destra. La folla è sempre più gremita, capisco che ce la faccio, niente mi può fermare, ora. Sicuro? Davanti a me un podista si ferma improvvisamente. Dal gesto e dal movimento capisco immediatamente che si è stirato qualche muscolo. Questa è una scena che vorrei mai provare personalmente, ma neanche vedere perché posso comprendere la delusione di quell'atleta. Ma sono obbligato a vederla e quindi a scansarlo - era proprio davanti a me. Compaiono i miei genitori, a Firenze per sostenermi, poco prima di Santa Croce. Urlo loro un liberatorio "visto che ce l'ho fatta ancora?", forse perché, alla fine, i figli dovranno sempre dimostrare qualcosa ai loro padri e alle loro madri, indipendentemente dall'età raggiunta. E io credo di aver dimostrato loro quanto mi hanno messo al mondo forte e quanto mi hanno cresciuto tenace, in un'occasione come questa in cui sono stato messo a dura prova.

-2 chilometri, più o meno

Sotto i miei piedi c'è già il tappeto blu. L'arrivo è ad un passo, Santa Croce è già visibile. L'ultima curva, poi l'arrivo. Provo uno sprint, se possiamo chiamarlo così, dopo tutta quella fatica. Ma non si sente più niente, quando c'è l'arrivo la gioia ricopre ogni sensazione di dolore. Stavolta ce l'ho fatta, so che l'obiettivo non mi è sfuggito. Esulto, perché so di essere arrivato in fondo ancora una volta, perché so di essermi migliorato, perché ho alzato l'asticella dei miei confini, perché so che ho scavato dentro di me nel profondo durante gli ultimi tre mesi (nel quale si cresce, sempre). e perché i muscoli, soprattutto quelli per cui temevo hanno resistito senza alcun tipo di noia. Sul traguardo di Piazza Santa Croce, in questa incantevole cornice, in questa splendida domenica di novembre, mi lascio andare ad un gesto di esultanza senza freni. È lo sfogo, dopo tre mesi intensi di lavoro duro e dedizione all'allenamento. Molto lestamente, mi giro per guardare il cronometro di corsa. Segna tre ore e quattordici. Ce l'ho fatta, sono sceso sotto le 3h15' in maratona. Non so con quale tempo di preciso, ma ce l'ho fatta. Sarà un bellissimo tempo, 3h14'32", più di un minuto meglio che all'ultima maratona, corsa ad Amburgo sette mesi prima.

L'arrivo in Piazza Santa Croce

Metto una medaglia al collo, sudata, sospirata, attesa, guadagnata ma soprattutto meritata. Il valore di questo pezzo di metallo al collo è tutto negli ultimi chilometri. La crisi è stata tale che gli ultimi cinque chilometri li ho corsi in 4'57"/km, un passo incredibilmente lento. Rispetto alla media di corsa che avevo mantenuto prima di entrare in crisi, ho perso ventisei secondi ad ogni chilometro. Potevo veramente chiudere con due minuti in meno. Ma non è questo che mi rende meno felice. Volevo partire un po' più forte del solito, provarci, fare una corsa coraggiosa e chiudere senza rimpianti, senza dover dire "se fossi partito più forte, però...", dare tutto, insomma. Ci sono riuscito e alla fine il mio atteggiamento ha pagato. Credo di aver subito anche il lastricato di Firenze, micidiale, e alcuni tratti di asfalto assolutamente inconcepibili. Valgo qualcosa in più delle 3h14' della Firenze Marathon 2015? Forse si, ma non me ne preoccupo, ora. La risposta ce l'avrò solo nel 2016. Ora solo riposo per membra stanche e per un animo felice. E con una maratona in più.
Bis bald!
Stefano

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